Martedì scorso i mercati hanno festeggiato la risurrezione dell’inflazione in Germania. Ieri è arrivata la conferma che tutta l’area euro a dicembre ha visto i prezzi schizzare all’insù oltre le previsioni degli esperti e portare l’incremento annuale dell’indice dei prezzi al consumo quasi a raddoppiare rispetto alla misurazione del mese precedente (+1,1% a dicembre contro +0,6% a novembre). A tirare la volata dei prezzi è soprattutto la Germania, che viaggia al ritmo del 1,7%, ma anche gli altri paesi vedono un incremento sostanzioso ed abbandonano del tutto i timori di deflazione, se ancora qualcuno li avesse. Anche il nostro paese mette a segno un’accelerazione significativa (da +0,1% di novembre a +0,5% di dicembre, il ritmo maggiore dal marzo 2014), anche se rimane in coda al gruppo europeo.
Sarà bene non farsi ingannare dai titoli della stampa di oggi, che ci dicono che il nostro paese è caduto nel 2016 in deflazione per la prima volta dopo il 1959. Come spesso succede per cercare la notizia eclatante si manipolano un po’ i dati. In questo caso si va a guardare la realtà nello specchietto retrovisore. Il -0,1% che ci raccontano i giornali è la media delle variazioni dell’anno scorso, influenzata dai primi mesi dell’anno, che sono stati effettivamente in preda alla deflazione. Ma sono ormai il passato. Da alcuni mesi la variazione dei prezzi è tornata positiva. Casomai la notizia avrebbe dovuto essere che anche in Italia a dicembre i prezzi rialzano la testa.
Sta di fatto che dopo aver invocato per anni l’inflazione come panacea di tutti i mali, ora eccola di nuovo tra noi. Draghi ha raggiunto il suo obiettivo ufficiale di reflazionare l’economia europea e faticherà a tenere a bada i mastini tedeschi del board BCE, che fin dalla prossima riunione gli chiederanno di prenderne atto e di smorzare il QE più in fretta di quanto lui voglia. Si preannunciano battaglie nelle ovattate stanze di Francoforte.
I mercati azionari festeggiano con parsimonia, in quanto già piuttosto brilli per i festeggiamenti che durano da due mesi, da quando il pallone gonfiato Trump ha vinto le elezioni in USA.
Sale anche la fiducia dei manager, con gli indici PMI e ISM che collezionano nuovi massimi ben al di sopra del confine che separa le attese di crescita da quelle di rallentamento. Anche la fiducia dei consumatori è a livelli esageratamente ottimistici.
Tutti pensano che Trump porterà un incremento della crescita reale, oltre ad un po’ di inflazione e, siccome le banche centrali sono ancora previste benignamente tranquille, l’azionario viene sempre ben comprato e non riesce nemmeno a correggere gli eccessi accumulati. Il settore bancario continua a trainare il gruppo, beneficiando del rialzo dei rendimenti, che, fino a quando non arriverà a valori tali da compromettere la sostenibilità di molti debiti mandare a gambe all’aria importanti debitori, viene visto come una fonte di redditività per il settore bancario, che beneficia anche dello stop alle trattative per le nuove regole più stringenti di Basilea 4.
In questo clima da migliore dei mondi possibile Wall Street torna a fare il solletico ai massimi assoluti, anche grazie alle scelte di Trump, che sta completando la sua squadra in modo spudoratamente incoerente con le affermazioni della campagna elettorale. Dopo aver preso i voti urlando contro Wall Street e le banche d’affari che hanno ridotto in rovina la classe media americana, nei fatti ha scelto uomini di Goldman Sachs nei ministeri chiave dell’economia ed ora ha messo al comando della SEC, l’autorità di controllo di Wall Street, niente meno che un celebre avvocato che finora ha difeso i grossi big contro le accuse della SEC. E’ come mettere un topo al comando della difesa del formaggio.
E’ vero che noi italiani non fummo da meno, quando Berlusconi nominò Tremonti, tra i più noti commercialisti degli evasori a capo del ministero delle Finanze, che ha dispensato scudi fiscali e condoni a tutto spiano. Gli effetti sul nostro debito pubblico li abbiamo visti.
Ora Trump dà il suo contributo a rendere Wall Street sempre più una bisca senza regole, e questo non può che far piacere alle mani forti, che anche ieri hanno continuato a comprare, portando il Dow Jones nuovamente vicino a quota 20.000, che è l’obiettivo da superare da un paio di settimane.
L’Europa ha digerito il rialzo di lunedì con un’altra seduta anonima, dopo quella di martedì. Solo il settore bancario ha continuato a correre, beneficiando ancora il nostro Ftse-Mib.
Fino a quando continuerà questa luna di miele con Trump e con l’inflazione? Probabilmente fino a quando si negozieranno aspettative. E questo avverrà almeno fino al giuramento di Trump, e magari per qualche giorno ancora. Poi, appena il magnate farà qualcosa di concreto dovrebbero scattare prese di beneficio consistenti. Il sogno finirà ed occorrerà confrontarsi con la realtà di un ubriaco alla guida del mondo.
Pierluigi Gerbino www.borsaprof.it