Ieri le notizie più significative sono state due: la pubblicazione dei primi sondaggi effettuati dopo l’intervento a gamba tesa della FBI su Hillary Clinton e la riunione del FOMC della Federal Reserve, che ha lasciato, come da attese, i tassi invariati.
I sondaggi elettorali hanno già misurato il grosso impatto della riapertura dell’inchiesta mail-gate sulle opinioni degli elettori. Il vantaggio di Hillary, che arrivò ad essere stimato anche intorno ai 7-8 punti percentuali, in crescita per quasi tutto il mese di ottobre, grazie alle vittorie nei faccia a faccia televisivi ed alle gaffe sessiste del suo sfidante, è già completamente sparito. La rapidità nella perdita di consensi di Hillary desta una certa impressione e probabilmente è stata favorita anche dal rilassamento in cui il suo staff si era adagiato, ormai certo della vittoria finale ed intento ad organizzare i festeggiamenti, più che a continuare la battaglia sul terreno.
Ora l’esito diventa molto incerto ed obbliga entrambi gli sfidanti a calare in fretta le carte pesanti, se ne hanno ancora in mano, per gli appelli finali, a 5 giorni dal voto. I prossimi giorni potrebbero essere costellati di pettegolezzi, che nessuno potrà verificare in tempo utile, e la campagna elettorale potrebbe mostrare una coda velenosa e sporca come mai è avvenuto prima.
Credo che, chiunque vinca, si troverà un’America molto diversa da quella che accolse Obama. Oggi il popolo americano è disgregato dalle disuguaglianze sociali e dilaniato da odi razziali e religiosi. Il mitico “Yes, we can” di Obama è diventato un sordo “Yes, we hate”.
Il futuro Presidente uscirà azzoppato da una partecipazione al voto probabilmente al minimo storico e si troverà più di mezza America che non lo rispetta o addirittura lo disprezza. Governare una democrazia in queste condizioni sarà impresa improba e densa di trappole.
I mercati finanziari, tranquillizzati fino a pochi giorni fa da aspettative di vittoria dello status quo, questa settimana stanno precipitosamente scontando un deciso innalzamento del “rischio Trump”.
Le vendite sull’obbligazionario, che hanno dominato la seconda parte di ottobre, scontando il rialzo futuro dei tassi a dicembre, ieri sostanzialmente confermato dal comunicato della FED, hanno lasciato spazio da venerdì scorso alla liquidazione di posizioni azionarie e gli indici ne hanno risentito abbondantemente.
Ieri l’indice americano SP500 ha confermato lo sfondamento di 2.120 ed è approdato su valori inferiori ai 2.100 punti, in un viaggio ribassista che nei prossimi giorni potrebbe portarlo a testare quota 2.030.
Le vendite hanno anche bersagliato l’Europa, anche perché qualcuno ha cominciato per la prima volta a prendere in mano gli scenari geopolitici che aprirebbe una vittoria di Trump. Il progressivo disimpegno nell’Alleanza Atlantica e la ricerca di un nuovo feeling con Putin potrebbero significare un allentamento dei rapporti con gli alleati europei, costretti a fronteggiare sempre più soli l’aggressività russa nei confronti degli ex satelliti baltici e dell’Europa orientale. Il progettato isolazionismo di Trump, che vuole costruire muri contro la globalizzazione, potrebbe portare in campo economico a un crescente protezionismo ed alla ulteriore riduzione degli scambi globali, già deteriorati dalla crisi, dalle sanzioni economiche, dal terrorismo e dalle sempre più numerose guerre che divampano nel mondo.
L’indice Eurostoxx50, con l’accelerazione ribassista di ieri è riuscito a dilapidare in 3 giorni di calo tutto il rally rialzista che aveva realizzato nella seconda metà di ottobre e si appresta a testare il primo importante supporto di area 2.950, che, una volta violato, aprirebbe la strada verso il livello chiave di 2.900. Ancora peggio si è comportato il nostro Ftse-Mib, letteralmente travolto da una valanga di vendite, soprattutto sui bancari, che hanno fatto dimenticare del tutto le speranze che solo la scorsa settimana molti coltivavano sulla possibilità di sfondare quota 17.400. Ieri quel livello si è allontanato di quasi 1.000 punti e sembra imminente il test di 16.200, che potrebbe avvenire già oggi. Sfondato quel livello resta l’ultima spiaggia 15.900 per impedire che si torni sui minimi segnati nei giorni della Brexit, a quota 15.017.
Respira un po’ l’obbligazionario, che è diventato il parcheggio dei capitali in precipitosa uscita dall’azionario, meno lo spread BTP/Bund, che ieri ha superato i 155 punti, prima di tornare nel pomeriggio sotto quota 150.
Che la settimana avrebbe potuto essere problematica avevo avvisato già lunedì scorso.
Pierluigi Gerbino www.borsaprof.it