Sembra proprio che l’azionario europeo non ce la faccia a scendere, mentre all’opposto quello americano non riesca a salire.
Il comportamento dei due mercati, negli ultimi giorni, è molto divergente. L’Europa preme contro le resistenze e scalpita per infrangerle. Wall Street non riesce a staccarsi dai supporti e rischia di sfondarli. Anche il comportamento nel corso delle varie sedute pare diametralmente opposto. L’Europa sfoga le prese di beneficio nella mattinata e nel pomeriggio recupera. Wall Street spesso apre tonica per poi ammosciarsi nel corso della seduta, mostrando comunque un certo disinteresse e volumi in diminuzione. Ieri questo copione si è ripetuto, ma a prendere il centro della scena è stato però il rally dei rendimenti obbligazionari, che sembrano aver preso un andazzo ben diverso da come eravamo abituati.
L’assuefazione ai rendimenti azzerati, che ormai ci avvolge da 3 anni, non ci impedisce di osservare che la ritrovata vitalità, che abbiamo osservato nelle giornate precedenti, ieri è diventata decisa convinzione rialzista. Se guardiamo i principali titoli sovrani decennali, sia i rendimenti americani, schizzati fino a 1,87%, che quelli tedeschi, che hanno toccato lo 0,19%, hanno confermato un bel segnale di inversione rialzista. I primi, a dire il vero, il segnale lo fornirono già nella prima decade di ottobre, quando superarono il massimo di settembre e la trendline discendente che unisce i massimi di marzo, aprile, maggio e settembre. Ieri lo hanno solo confermato raggiungendo nuovi massimi relativi.
Il rendimento del bund invece ce lo ha dato proprio ieri, violando in un sol colpo sia i massimi di settembre, ripetuti a metà ottobre, che la trendline che guida il lungo movimento ribassista partito a giugno dello scorso anno.
Significa che la festa sull’obbligazionario è finita e che la bolla speculativa sta per scoppiare?
Non sarei ancora così categorico. Infatti abbiamo l’esperienza del 2015, quando un potente rimbalzo dei rendimenti avvenne alla partenza ufficiale del QE europeo. Durò da aprile a giugno, ma poi l’effetto calmierante dell’euro-QE si impose ed assorbì tutta la nervosa reazione. I rendimenti del Bund e del T-Note scesero costantemente per un anno e quest’estate, in balia del terrore per la deflazione, realizzarono i minimi storici. Pertanto ci vuole cautela. Ma qualcosa, senza dubbio, sta succedendo. Diciamo che i mercati stanno cominciando a saggiare il terreno che potrebbero calpestare a lungo in un futuro forse ormai prossimo. Quello della politica restrittiva sui rendimenti da parte della FED e del tapering per il QE della BCE. Draghi nega con forza che sia imminente, ma il mercato comincia a scontarlo. La fase della salita senza fine delle quotazioni obbligazionarie potrebbe essere terminata. Il livello di 133,90 segnato a luglio dal future sul Treasury Note americano e quello di 168,86 visto a giugno sul future del Bund tedesco, potrebbero essere dei massimi che faranno la storia del mercato obbligazionario, destinati a non essere più ripetuti per lungo tempo.
Sono proprio i segnali di rafforzamento dell’economia USA ed anche di quella europea, che potrebbero consegnarci un brillante terzo trimestre per il PIL delle due aree economiche, a spingere gli investitori a corpose prese di beneficio sull’obbligazionario, nella convinzione che la generosità dei banchieri centrali ha sempre meno motivi per proseguire, dato che si cominciano a vedere, di pari passo col rafforzamento del ciclo, anche le prime pressioni inflazionistiche.
Oggi avremo un primo dato chiave di verifica, alle 14,30. Il PIL USA del 3° trimestre viene comunicato con la prima stima provvisoria dell’ufficio statistico americano. Gli analisti prevedono un vivace +2,5% annualizzato. La stima potrebbe anche essere battuta, visti i buoni dati di settembre. La verve dei venditori di bond sembra scontare un dato migliore delle attese. In questo caso sarà interessante osservare se verrà la classica presa di beneficio degli speculatori di breve, che si accontentano di realizzare i frutti di un modi e fuggi ribassista. Oppure se il movimento diventerà valanga, innescando un effetto domino più rilevante, che non andrebbe affatto sottovalutato.
La ripresa dei rendimenti influenza anche i mercati azionari. Sostiene le banche, che sembrano tornate ad antichi splendori, e permette agli indici più popolati di titoli bancari di sovraperformare. Anche ieri il nostro Ftse-Mib, con un discreto +0,84% è stato tra i pochi a chiudere la giornata in positivo. Ma penalizza i settori industriali e le utility, che infatti in questi giorni stanno soffrendo prese di profitto.
Gli indici, tirati per la giacca da queste spinte contrapposte, non vanno da nessuna parte ed attendono lumi da quelli americani prima di decidere da che parte andare.
Pierluigi Gerbino www.borsaprof.it