venerdì, Novembre 22

Italia-Germania: mal comune mezzo gaudio?

Non mi riferisco alle recenti vicende calcistiche, ma a quelle borsistiche, ed in particolare bancarie.

Perché ieri, la giornata che doveva partorire il rimbalzo delle borse europee, per raddrizzare l’andamento settimanale piuttosto preoccupante, dopo ben 3 giornate consecutive di calo, si è progressivamente sgonfiata, dando l’impressione che basti veramente poco a distruggere le migliori intenzioni rialziste dell’azionario europeo.

L’inizio della seduta è stato dominato dall’attesa di imminenti provvedimenti di sostegno per le banche italiane, che abbiano il placet europeo, a cui Renzi ha fatto riferimento martedì, classificando come in via di risoluzione il problema dei NPL (Non Performing Loan, elegante tecnicismo inglese per parlare di sofferenze bancarie senza spaventare).

Siccome però le trattative sono ancora piuttosto in alto mare, dopo poche ore è successo quel che il dilettante di Firenze non sa. Cioè che se illudi il mercato di essere in vista del traguardo e poi al traguardo non ci arrivi in fretta, il mercato crede che hai forato una ruota. Fuori di metafora, il nulla di fatto ha provocato nuovi timori e le banche italiane sono tornate (non tutte, ma molte) nel mirino delle vendite.

Mettiamoci poi un petrolio che nel pomeriggio, complici le scorte americane scese meno del previsto, ha subito una scivolata clamorosa, perdendo 3 dollari in sole 3 ore (dai 48 $ delle ore 16 ai 45 $ delle ore 19), ed ecco che la chiusura di giornata è stata solo lievemente positiva per le migliori borse europee e addirittura invariata per il nostro Ftse-Mib, inesorabilmente il peggior listino d’Europa anche ieri.

Il mercato sta perdendo la pazienza e comincia a scontare ipotesi di insolvenza per qualche banca italiana. Si stanno rivedendo quotazioni oltre quota 600 sui premi per i CDS su MPS, a non molta distanza dai massimi di 720 toccati in febbraio. I CDS sono di fatto contratti di assicurazione contro il rischio di insolvenza del debitore, di durata quinquennale, che comportano l’obbligo, in cambio della garanzia, di pagare un premio annuo. Siccome il valore nominale assicurato è normalmente 10 milioni di euro, significa che gli istituzionali che vogliono coprirsi dal rischio default di MPS pagano in questi giorni 600.000 euro l’anno di premio.

Il valore del premio dipende perciò dalla probabilità di fallimento dell’emittente dei titoli assicurati. Valori di 600 punti rappresentano circa il 35% di probabilità di fallimento entro i prossimi 5 anni. Ricordo che all’inizio di quest’anno le quotazioni esprimevano una probabilità di fallimento intorno al 19%.

E’ evidente che non c’è molto tempo da perdere e che il mercato si sta spazientendo. Oltretutto i continui richiami da parte di autorità della Commissione UE a rispettare rigorosamente le regole del bail-in (ieri è toccato a Dijsselbloem) sembrano fatti apposta per stoppare le aperture benevole. La strada sembra non essere ancora sgombrata dagli ostacoli che impediscono allo Stato di intervenire per salvare le banche.

A darci un minimo di speranza che in qualche modo le cose verranno sistemate è il cosiddetto “mal comune mezzo gaudio” che coinvolge anche altre banche europee, soprattutto tedesche. Da noi ci sono le sofferenze. Da loro ci sono i derivati. Renzi martedì si è fatto bello dicendo che da noi le sofferenze valgono 1, i loro derivati valgono 100. Evidentemente si riferiva a Deutsche Bank, nell’occhio del ciclone del FMI che l’ha definita come la banca a maggior rischio sistemico del mondo. A parte il fatto che noi italiani non abbiamo alcun titolo per dare lezioni ai tedeschi, in realtà il peso dei derivati è addirittura molto maggiore della cifra lasciata intendere da Renzi. Deutsche Bank tiene in pancia un valore stimato di 55.000 miliardi di derivati, pari a 5 volte il PIL dell’intera Eurozona, mentre il valore complessivo di tutte le sofferenze italiane è di “solo” 360 miliardi. Il rapporto perciò non è 1 a 100, ma addirittura 1 a 152. E’ vero che molte posizioni in derivati sono compensate da posizioni opposte, per cui occorrerebbe conoscere l’esposizione netta, che stranamente è un dato che viene tenuto ben nascosto e nessuno si preoccupa di chiedere né di imporne la divulgazione. Ma sarebbe quello il vero termometro del rischio. E’ anche vero che una parte consistente di questi derivati è priva di quotazione e le autorità si accontentano della valutazione che ne fa la banca stessa, in pieno conflitto di interessi.

Se i regolatori volessero impiegare il loro tempo così profumatamente pagato per stabilire regole di valutazione ed adeguata pubblicazione di questi dati, farebbe un grande favore al mercato e toglierebbero un sacco di volatilità dalle borse.

Perché oggi il mercato pare preoccuparsi non solo delle banche italiane, ma anche di Deutsche Bank, anch’essa incapace di rimbalzare dopo le forti perdite dei giorni scorsi. Ieri mi ha colpito l’intervista di uno dei più importanti gestori di Bond, l’americano Jeff Gundlach, a Reuters. Secondo lui, dopo che Deutsche Bank ha perso il 57% in un anno, una ulteriore perdita del 10% da questi livelli potrebbe scatenare il panico.

Vogliamo pensare che in Europa, per difendere il totem del rigore, permettano l’implosione di Deutsche Bank? Sarebbe la catastrofe sistemica, assai peggiore di quel che è stata Lehman Brothers nel 2008.

E’ pensabile che in tale situazione i nostri “regolatori” assistano distratti a quel che sta succedendo?

Per ora sembrerebbe di sì. Il mal comune resta semplicemente un mal comune. Ma le probabilità di essere salvati a strascico aumentano in proporzione al calo di Deutsche Bank.

A meno di pensare che nella zucca dei burocrati europei siano rimaste solo ragnatele. E sempre che nel frattempo non fallisca MPS.

Pierluigi Gerbino www.borsaprof.it