venerdì, Novembre 22

La figuraccia di Renzi stoppa il recupero di Piazzaffari

Ieri il rimbalzo dei mercati azionari occidentali è proseguito in modo abbastanza corale, dimostrando che lo spavento Brexit comincia ad assumere sempre più l’aspetto di una bufala creata per movimentare i mercati e fornire ai manovratori delle borse l’opportunità speculativa di fare guadagni che l’attività di cassettista sull’obbligazionario non consente più da tempo.

Certo, se confrontiamo dove sono tornati ieri i principali indici con i valori che segnavano il giorno prima dei risultati del Brexit, la situazione è variegata. C’è chi ha ormai recuperato tutto il terreno perduto nei giorni del terremoto finanziario. Questo indice è, udite, udite, proprio quello inglese, alla faccia di quel che ci hanno raccontato gli esperti delle istituzioni sovranazionali e degli istituti di ricerca, tutti a stracciarsi le vesti su chissà quali devastazioni avrebbe provocato la Brexit sull’economia inglese.

C’è chi ha recuperato ormai i due terzi di un movimento ribassista che è stato comunque abbastanza composto. E questo indice è l’americano SP500, a dimostrazione che l’argomento Brexit non era poi così in cima ai pensieri ed alle paure degli investitori americani, i quali, tutto sommato, sono più interessati a quel che farà (o non farà) la Yellen piuttosto che alle litigate da comari che si vedono in Europa.

C’è anche chi, quatto quatto, mentre in Europa si litiga, sta approfittando della bonaccia monetaria che gli spaventi della scorsa settimana impongono ai banchieri centrali, tutti impegnati a confermare i tassi fermi o se possibile addirittura a farli scendere ancora, per contrastare l’effetto protezionistico che vedono arrivare dal Brexit sull’economia mondiale. Questi indici sono i cosiddetti BRIC (Brasile, Russia India e Cina), che stanno quasi tutti forzando i massimi di quest’anno.

Ma in Europa la Brexit è ancora tutt’altro che dimenticata. Il principale indice europeo (Dax) ha recuperato, ma per ora meno della metà di quel -10% che ha perso al momento del risveglio di venerdì scorso. L’indice globale Eurostoxx50 più o meno è nella medesima situazione. Assai peggio stanno alcuni altri indici europei, che sono ancora ben più vicini ai minimi di inizio settimana che ai massimi della vigilia del Brexit. Sono quelli dei paesi mediterranei, che non riescono a scrollarsi di dosso l’acronimo PIGS (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna). Questi, che oltre ad aver ospitato l’epicentro del terremoto, subendo i cali più terrificanti, ora rimbalzano con maggior fatica.

Tra tutti, purtroppo, occorre puntare l’attenzione sul nostro Ftse-Mib, ieri frenato dall’ennesimo passo falso delle banche, che dopo una mattinata in gran recupero, nel pomeriggio hanno messo la retromarcia e molte hanno chiuso la seduta con pesanti cali, mentre le 3 sole in grado di presentare il segno positivo (Intesa, Unicredit e Mediobanca) hanno chiuso ben lontano dai massimi mattutini. L’indice Ftse-Mib è stato salvato dall’impetuoso rialzo di molti titoli energetici, che hanno approfittato del gran recupero del petrolio, tornato ieri addirittura a toccare i 50 dollari nella serata americana.

La difficoltà del settore bancario italiano è nota. La Brexit ha messo in mostra più di quanto non si conoscesse la fragilità sistemica delle nostre banche, schiacciate da mercati che le penalizzano per le molte sofferenze, Vigilanza UE che impone sempre nuove ricapitalizzazioni per mantenere i parametri di solidità al di sopra dei minimi richiesti, impossibilità di intervento con soldi pubblici per le note norme sul Bail-in, che impongono agli stati di azzerare il valore di azioni ed obbligazioni non garantite e di attingere ai conti correnti della clientela al di sopra dei 100.000 euro prima di poter erogare soldi pubblici.

In questo quadro estremamente difficile, che rende di fatto impossibile pensare ad aumenti di capitale, i pasticci comunicativi del nostro premier sono riusciti a confezionare un perfetto assist per i ribassisti.

Dapprima è stata fatta circolare la notizia prematura che si stava lavorando per concordare con “l’Europa” un periodo di 6 mesi di sospensione della norma sul bail-in per consentire agli stati di salvare le banche senza danneggiare i correntisti. Poi che il governo pensava di creare un veicolo da 40 miliardi di capitale pubblico e privato, per togliere definitivamente di mezzo il problema delle sofferenze.

E’ inevitabile che simili voci alimentino la speculazione, che martedì ha infatti provocato un forte recupero dei bancari e del nostro indice, e si è estesa anche alla mattinata di ieri.

Ma nel pomeriggio la professoressa Merkel ha umiliato lo scolaretto Renzi troppo chiacchierone, gelandolo con l’ovvia affermazione che se mettiamo delle regole non possiamo cambiarle ogni due anni. Ed il nostro impavido condottiero ha dovuto incassare lo stop rifugiandosi nella solita narrazione megalomane di un’Italia che non è sotto esame, non ha bisogno di nessun aiuto, caso

mai sono gli altri che vogliono violare le regole. Faremo tutto da soli e i risparmiatori possono stare tranquilli.

Il piano governativo si riduce così a una manciata di miliardi di ricapitalizzazione di Atlante a carico della solita Cassa Depositi e Prestiti e, come sempre, “io speriamo che me la cavo”.

La seduta di ieri è stata salvata dagli energetici, ma oggi sento molto puzza di bruciato. I fondi Hedge annusano l’odore del sangue e non mi stupirei se le condizioni di emergenza, che potrebbero consentire agli stati di intervenire evitando il Bail-in, venissero provocate dall’ennesima bordata ribassista sulle banche italiane.

Spero ardentemente di sbagliarmi. Ma è un film che abbiamo già visto altre volte. Se illudi i mercati di essere in grado di risolvere un problema e poi dimostri di non esserlo, la punizione arriva impietosa.

Il branco dei lupi di Wall Street si accanisce sempre sulle prede più deboli, a maggior ragione se queste li provocano.

Pierluigi Gerbino www.borsaprof.it