venerdì, Novembre 22

Brexit: qualunque cosa accada sarà una bufala

Siamo alle battute finali di quello che da molti commentatori e policy maker ci è stato presentato come “il giorno del Giudizio” sulle sorti dell’Unione Europea: il referendum che porterà i cittadini britannici ad esprimere la loro volontà sulla permanenza (Remain) o sull’uscita (Leave) della Gran Bretagna dall’Unione Europea.
Si è arrivati qui dopo un lungo percorso di progressivo “raffreddamento” dei rapporti tra il Regno Unito e gli altri paesi europei, che ha portato da anni alla costruzione di un regime da “separati in casa”, con la Gran Bretagna che partecipa alle decisioni comuni, ma sulle principali materie, quelle più caratterizzanti, conserva sempre la clausola detta “opting out”, cioè di non partecipare, lasciando contemporaneamente agli altri la possibilità di andare avanti.
E’ stato questo il modo che ha consentito agli inglesi di tenere un piede, anzi due, nella stanza dei bottoni UE nel momento in cui si prendono le decisioni, si concordano i benefici reciproci e si nominano i funzionari ai vertici dei dicasteri europei. Ma il suo ruolo è stato quasi sempre di freno e di controllo, sempre attento ad ostacolare decisioni che non fossero più che convenienti ai loro interessi nazionali. In questo modi tutti i vantaggi del mercato unico sono stati colti, dalla libertà di esportare senza dazi all’usufruire del meccanismo delle quote agricole per ottenere prezzi remunerativi per i suoi produttori, fino alla “concorrenza sleale” che le banche e le società assicurative inglesi possono fare alle concorrenti “europee” quando emettono prodotti finanziari ed assicurativi che sfruttano le normative meno stringenti esistenti in GB, e li vendono in tutta Europa, grazie al principio del “Passport Right” o licenza unica, che consente appunto ad ogni istituzione finanziaria che abbia la licenza in un paese europeo, di poter vendere i propri prodotti in tutta Europa soggiacendo solo ai controlli del paese d’origine.
Invece tutti gli oneri che avrebbero limitato la loro sovranità nazionale sono stati tranquillamente aggirati. Il più celebre è stato il rifiuto di aderire alla moneta unica rinunciando alla sterlina, che ha evitato agli inglesi di partecipare ai “sacrifici” per mantenere la stabilità dell’euro. Anzi, per parecchio tempo e soprattutto nei momenti più drammatici per l’Eurozona del 2011-2012, la sterlina è stata addirittura vista come bene rifugio per scappare dal rischio Euro, al pari di Franco Svizzero, Dollaro USA e Yen.

Per questi motivi non è semplice capire il motivo per cui da qualche anno è cresciuto lo spirito euroscettico fino a diventare la pulsione maggioritaria, almeno stando ai sondaggi sugli elettori già decisi, che fino a pochi giorni fa davano il fronte Brexit in vantaggio di qualche punto.

Ad un italiano, ad uno spagnolo ed ancor più ad un greco, tutti più o meno massacrati dall’austerità imposta dalle regole stringenti per restare nell’eurozona, la posizione attuale della Gran Bretagna fa soltanto invidia.

Ma tant’è. Il processo di raffreddamento nei confronti dell’Europa si è via via consolidato, anche grazie al comportamento piuttosto azzardato di Cameron. Questi negli scorsi anni ha soffiato sul fuoco dello scetticismo e dell’ostilità all’Europa, esaltando in contrapposizione la sua fedeltà all’alleanza con gli USA, che tanti guasti, a mio parere, ha fatto in Medio Oriente con tutte le varie guerre (all’Iraq, alla Libia, alla Siria di Assad ed ora con l’ambigua guerra all’ISIS) combattute senza la minima visione del futuro, che hanno creato lo Stato Islamico e rafforzato l’integralismo politico musulmano, contribuendo alla escalation del terrorismo.

Cameron, dopo aver contribuito per anni a rafforzare lo spirito anti-europeo, ha vinto la campagna elettorale da euroscettico, sventolando agli inglesi la possibilità di votare con un referendum per l’uscita dallo scomodo condominio europeo.

Ma poi ha sterzato bruscamente, avviando una faticosa trattativa per mendicare, in cambio della permanenza nella UE, qualche sconto sui quattrini versati dagli inglesi al bilancio Europeo e qualche altra materia su cui esercitare il privilegio dell’Opting Out.

Ottenuto qualcosa da Junker si è poi presentato al suo popolo con un clamoroso voltafaccia, invitando a votare per la permanenza, come se i regali ottenuti bastassero a trasformare quella che lui stesso definiva come la matrigna Europa in una madre premurosa. E’ stato abbastanza comico vedere Cameron evocare sciagure inaudite se gli inglesi scegliessero quella Brexit che fino ad un anno fa lui stesso riteneva la soluzione inevitabile per il suo paese.

A rafforzare lo spirito ostile all’Europa è stata anche la paura dell’immigrazione e dei profughi mediorientali, una paura assai condivisa in Europa, che con la costruzione quasi ovunque di muri di

filo spinato ha portato a minare le fondamenta del trattato Schengen, quello che consente la libertà di spostamento in tutta l’area UE.

La voglia di erigere un muro virtuale, fatto di divieti e restrizioni, di violazioni egoistiche ai principi di solidarietà ed ai diritti fondamentali dell’uomo, tra cui quello di essere salvato dalla morte e dalla guerra, hanno coagulato forti consensi egoistici intorno al progetto Brexit, che progetto non è, dato che nessuno dei fautori ha in mente come organizzare i rapporti con l’Europa se dovesse vincere il Leave.

Ma ora siamo giunti alla resa dei conti, dopo aver assistito impietriti, giovedì scorso, anche al martirio politico. L’uccisione della deputata Jo Cox, fautrice del Remain, ad opera di un folle di estrema destra, fanatico del Brexit, ha rappresentato il punto più basso del degrado politico che ci sia mai capitato di vedere.

E’ un evento che potrebbe cambiare le sorti del referendum, come nel frattempo ha già cambiato il modo di fare campagna elettorale da parte delle forze più responsabili dei due fronti, che non possono assistere a questo delirio di violenza senza riflettere.

Come andrà a finire?

Personalmente credo che proprio la tragica violenza di questi giorni dovrebbe convincere molti indecisi a scegliere di votare Remain, manifestando emotivamente anche nel segreto dell’urna la propria partecipazione al lutto della famiglia Cox, e la risposta alla violenza. Questi voti aggiuntivi, fino a pochi giorni fa non immaginabili, potrebbero portare la bilancia a favore del Remain. Mi preparo alle ipotesi complottistiche che nei prossimi giorni divamperanno nella rete se vincerà il Remain, raccontandoci di chissà quali trame ordite dai servizi segreti o dalle lobby dei potenti, che, impauriti dalla Brexit, hanno assoldato il sicario di Jo Cox per cambiare l’esito del voto.

Ma fino a quando le urne non saranno aperte rimarrà il dubbio su chi vincerà e così continuano ad essere sfornate previsioni sulle conseguenze dei due possibili esiti.

L’esito favorevole al Remain è più semplice da prefigurare. Rimarrebbe lo status quo. Cameron verrebbe immeritatamente premiato per la seconda volta, dopo la vittoria alle elezioni, per la sua politica ondivaga e confusa. La sterlina, che da qualche mese è arretrata rispetto al dollaro, potrebbe recuperare parte delle perdite. Le borse azionarie europee, pesantemente colpite nella prima metà di giugno dal terrorismo mediatico che evocava i disastri del Brexit, potrebbe recuperare circa il 10% medio che ha perso o qualcosa meno se deciderà di passare fin da subito ad altre preoccupazioni. Non dimentichiamo che tre giorni dopo il referendum ci sono le elezioni politiche spagnole, mediaticamente sovrastate dal caso Brexit, che rischiano di ripetere lo stallo politico già avuto a febbraio e di aggravare i problemi di stabilità politica in quel paese. I mercati USA potranno continuare, come stanno già facendo, ad ignorare le questioni europee ed a concentrarsi sulla FED e le sue confuse visioni del futuro economico americano.

Molto più complesso è lo scenario in caso di vittoria del Leave. Si sono sentite analisi di ogni tipo. Tutte hanno cercato di realizzare l’impossibile, cioè tradurre in numeri futuri l’impatto di lungo termine sul PIL, sulla sterlina e anche sull’area Euro.

E, siccome tutto dipenderà da come verranno definiti i rapporti tra Gran Bretagna e UE dopo lo strappo, si sono viste diversità enormi tra i vari scenari.

E’ ovvio che se dovesse realizzarsi lo scenario del divorzio ostile, cioè quello che Schaeuble ha evocato per condizionare le scelte degli inglesi (“in caso di Brexit la Gran Bretagna sarà fuori dal mercato unico”) l’impatto nel breve periodo sarebbe piuttosto duro e si concentrerebbe su tre fronti: una caduta considerevole della sterlina; una diminuzione sensibile dell’interscambio con la UE, che però andrebbe a colpire soprattutto Irlanda, Malta, Norvegia, assai poco l’Italia; un sensibile ridimensionamento del suo ruolo dominante nella finanza mondiale, che oggi mantiene proprio grazie ai privilegi del Passport Right. Venendo a mancare, causerebbero l’esodo di molte banche e istituzioni finanziarie europee, che andrebbero ad occupare le piazze francesi e tedesche, oppure farebbero il gran salto verso Singapore, che si candiderebbe a diventare probabilmente il regno della finanza corsara ed opportunistica mondiale.

Sicuramente queste conseguenze verrebbero scontate dai mercati finanziari con una certa volatilità nei due sensi ed una direzionalità ribassista nel comparto azionario.

Se Londra reggesse a questo shock, poi le cose potrebbero cambiare in meglio, poiché la svalutazione della sterlina le darebbe vantaggi competitivi, il taglio dei vincoli europei potrebbe addirittura spingerla a diventare un nuovo paradiso fiscale e prendere il posto della Svizzera, che ha invece fatto in questi anni la scelta esattamente contraria di abbandonare segreto bancario e normative di comodo pro-evasori per integrarsi maggiormente con il mercato unico europeo.

Ma questa ipotesi di divorzio ostile ha poche possibilità di avverarsi, dato che troppe sarebbero le incognite, non solo per la Gran Bretagna, ma anche per l’eurozona, dato che, se l’esperimento finisse bene, avrebbe un effetto seduttivo nei confronti dei paesi più sofferenti dell’Eurozona (Spagna, Italia, Portogallo, Grecia) dove le forze ostili all’euro stanno crescendo e potrebbero sfondare, portando di fatto alla dissoluzione del progetto di Unione Europea.

Ritengo perciò che il giorno dopo l’eventuale esito Brexit, tutti riporrebbero nel cassetto i toni battaglieri e si preparerebbero a negoziare le regole che andranno a sostituire quelle appena gettate al macero dal popolo britannico.

Ovviamente i fautori del Leave vorranno negoziare con Junker il massimo del mantenimento dei vantaggi ora acquisiti, senza pagare più il biglietto annuale di partecipazione all’Unione. L’Europa non potrà concederlo, anche per ovvi motivi di prestigio offeso dalla richiesta di divorzio, ma starà attenta a non calcare troppo la mano per non innescare scenari vicini a quelli più ostile, dei cui effetti non sarebbe indenne. La trattativa, che dovrebbe essere gestita da Cameron, sempre che riesca a resistere dopo la cocente sconfitta della sua politica, inizierebbe solo ad ottobre, quando il Parlamento ratificherebbe l’esito del referendum e farebbe scattare la procedura dell’art. 50 del Trattato di Lisbona, quella che gestisce la separazione consensuale. Questa dice poco, ma almeno fissa un termine di due anni per definire le regole da applicare al divorzio, in sostituzione delle precedenti. Il termine può addirittura essere prorogato in caso di necessità. Nel frattempo varranno ancora le vecchie regole. Il processo ha tutte le carte in regola per essere molto lungo e personalmente credo che finirebbe con un accordo che cambierebbe tutte le regole per mantenere in sostanza una situazione molto simile all’attuale, in perfetto stile Gattopardo (cambiare tutto perché nulla cambi). Nel frattempo il tempo passerebbe. L’opinione pubblica, che in questa era della velocità digitale non riesce a fermarsi su un tema per più di 3 giorni, si dimenticherebbe il Brexit e sarebbe nel frattempo sommersa da chissà quali altre preoccupazioni.

I mercati dopo lo shock emotivo provocato dall’esito teoricamente dirompente, che causerà volatilità per pochi giorni, ritorneranno alla normalità e si concentreranno sui veri temi in grado di creare movimenti significativi: il rallentamento della Cina e dell’economia americana, la politica monetaria della FED, che nei giorni scorsi ha subito una cocente battuta d’arresto sulla via della normalizzazione, i prossimi stimoli monetari che Draghi e il giapponese Kuroda elargiranno.

Insomma. Cameron ha creato un gran casino per rafforzare la sua posizione interna. La speculazione ne sta approfittando per estrarre un po’ di rendimento in un mondo a tassi azzerati. Ognuno si diletta in questi giorni a fare previsioni impossibili, gareggiando a chi la spara più grossa. Ma la tempesta rimarrà rigorosamente confinata nel bicchier d’acqua in cui si sta sfogando.

E tutti noi avremo perso tempo a discutere di un “non-evento”. Anche se vinceranno i separatisti.

Pierluigi Gerbino www.borsaprof.it