venerdì, Settembre 20

Paura Brexit, ma quanto è motivata?

Negli ultimi giorni si è abbattuta sui mercati una sfilza di eventi sensibili, che in parte non è ancora stata scontata.
La decisa irruzione della paura Brexit, dilagata nelle ultime sedute borsistiche della scorsa settimana; lo scoppio della violenza tutti contro tutti degli ultrà delle varie tifoserie ai Campionati Europei, che ci ha dato una plastica immagine del clima di tolleranza e solidarietà che alberga all’interno dell’Unione Europea; per finire, ieri, il devastante attentato terroristico di matrice islamica in USA, che potrebbe avere oggi qualche rilevanza sui mercati, per il semplice fatto che questa volta è avvenuto entro i confini USA ed è più difficile da ignorare anche per le ciniche borse americane.

Di questi fatti solo il primo, cioè il rischio Brexit, è stato già recepito dai mercati e credo che sarà anche questa settimana ai vertici della classifica delle preoccupazioni borsistiche.

Gli altri due eventi, che a mio parere non sono meno preoccupanti per il futuro del nostro livello di civiltà, non hanno la caratura per imporsi sui mercati come fonte primaria di volatilità, poiché in gran parte sono stati metabolizzati nel week-end, a borse chiuse, ed inoltre vengono visti come non direttamente correlati al business.

Basta comunque il rebus Brexit a spingere verso la condizione di Risk off i mercati.

Alcuni sondaggi hanno dato il fronte Brexit, cioè quelli che vogliono lasciare la UE, in vantaggio. Uno di questi ha contabilizzato addirittura nel 10% la differenza a favore degli anti-UE.

La scoperta che a pochi giorni dal voto la rimonta del fronte Brexit prosegue ha spinto molti investitori intascare e fermarsi, innescando il classico effetto domino che si vede quando si svolge la fuga dal rischio: vendite sull’azionario, preferibilmente per i paesi (i PIIGS e gli emergenti) ed i settori (Bancario) ritenuti più rischiosi; prese di profitto sul petrolio e sulle materie prime, ad eccezione di quelle considerate bene rifugio (i metalli preziosi); corsa ad acquistare i bond di USA e Germania, che hanno raggiunto record negativi di rendimento sulla scadenza decennale (1,62% i primi, addirittura meno di 0,02% quelli tedeschi); fuga dalla Sterlina ed anche dall’Euro, con spostamento della liquidità verso il dollaro USA.

La Brexit è improvvisamente uscita dalla cerchia ristretta dei politici e degli economisti, per diventare l’argomento di discussione nei pranzi domenicali anche da noi. Ne è una cartina al tornasole l’impennata di telefonate di investitori, smarriti più che spaventati, che chiedono lumi su un evento che, se capitasse, avrebbe conseguenze imprevedibili come non mai. E, se le conseguenze sono imprevedibili, non vale la pena passare il tempo a fare ipotesi campate in aria.

Io continuo ad essere del parere che per ora il fronte Bremain, cioè quelli che vogliono lo status quo, abbia ancora più probabilità di vincere, per tre motivi. Il primo è la scarsa credibilità degli istituti di ricerca demoscopica inglesi, che lo scorso anno non sono riusciti a prevedere il trionfo di Cameron ed hanno insistito fino al giorno del voto su un testa a testa che non c’è stato. Il secondo è comportamentale. Ci sono ancora molti indecisi e di solito chi non vota o è indeciso, nella maggioranza dei casi non ha opinioni di rottura, perché altrimenti non aspetterebbe l’ultimo giorno per decidere. Per cui è presumibile che sia la paura per il nuovo ed imprevedibile scenario geopolitico, fomentata dalle prese di posizione al limite del ricatto di Cameron (nuova austerità se vince il Brexit) a spingerli in prevalenza per il mantenimento della situazione attuale.

Il terzo motivo è forse il più importante, e riguarda gli allibratori inglesi, celebri per la loro capacità di previsione, il solo elemento in grado di consentirne la prosperità. Ebbene, anche se negli ultimi giorni hanno diminuito leggermente le quote pagate a chi scommette sull’uscita, le probabilità implicite nelle quotazioni offerte agli scommettitori rimangono ancora decisamente favorevoli alla vittoria del Bremain: circa 70%, contro il 30% di possibilità che vinca il Brexit.

Per cui, se consideriamo che tra sondaggisti e gli allibratori non c’è partita, poiché ci azzeccano decisamente di più i secondi, direi che le convulsioni dei mercati sembrano per ora più dettate da movimenti speculativi per muovere delle acque che ultimamente si sono fatte abbastanza stagnanti, che da reali motivazioni.

Purtroppo siamo comunque destinati a convivere ancora per 9 sedute con l’agitazione dei mercati, che potranno cambiare repentinamente direzione ad ogni arrivo di un sondaggio fresco.

A rendere il clima più frizzante questa settimana avremo anche lo show delle banche centrali. Sono infatti previste le riunioni dei comitati direttivi di alcune importantissime banche centrali. Comincerà la Federal Reserve USA con il FOMC che si concluderà con proiezioni economiche e conferenza stampa di Yellen mercoledì sera. Il giorno seguente avremo la risposta della Banca del Giappone e

della Banca d’Inghilterra, impegnata peraltro in questi giorni a elaborare piani di difesa monetaria da usare in caso di vittoria del Brexit. Manca la BCE, che ha già effettuato il suo incontro mensile, ma certamente anche Draghi non vorrà far mancare il suo condizionamento psicologico sugli inglesi nel suo intervento a Monaco di venerdì prossimo.

E’ una settimana che si preannuncia impegnativa, anche se il massimo dell’adrenalina lo si dovrebbe raggiungere in quella successiva, con il tanto atteso referendum inglese (giovedì 23) e le elezioni politiche spagnole domenica 26. Quest’ultimo evento fuori dalla Spagna pare quasi del tutto oscurato dall’ingombrante ombra del Brexit. Ma a torto, poiché personalmente lo ritengo una possibile fonte di turbolenza per l’area euro assai più importante persino di una eventuale vittoria del Brexit. Se le elezioni dovessero produrre una maggioranza di governo ostile alle attuali politiche europee, potremmo assistere a finanziari nell’eurozona generati dallo scossone politico molto più importante della stessa vittoria di Tsipras in Grecia.

Come si può constatare le due prossime settimane presentano una road map piuttosto impegnativa per le borse, già attanagliate negli ultimi giorni dalla paura.

Mentre l’indice americano SP500 ha subito un battuta d’arresto proprio venerdì, che l’ha allontanato un pochino dai massimi assoluti, ma non ne ha modificato l’impostazione ancora rialzista di breve, l’azionario europeo si presenta oggi con le ossa parecchio rotte.

Venerdì, in seguito al mini-crollo generalizzato delle borse azionarie sono stati completati modelli di continuazione ribassista piuttosto eclatanti.

Il future su Eurostoxx50 ha rotto al ribasso un triangolo di ampia portata e pare ora diretto, come primo step, verso i minimi di febbraio e successivamente magari verso l’obiettivo finale in area 2.500. Il Future sul Dax tedesco ha completato un testa e spalle ribassista che ha come obiettivo il raggiungimento dei minimi di febbraio a 8.700 punti circa.

Il nostro FIB è ad un soffio dalla rottura ribassista di un ampio triangolo, che potrebbe arrivare oggi, con conseguente possibile discesa di circa 3.000 punti per raggiungere l’obiettivo della figura.

Come si può vedere, c’è poco da stare allegri. Ma nei prossimi giorni più che i grafici conterà il condizionamento mediatico, fatto di sondaggi, minacce, intrusioni politiche e notizie di cronaca terroristica.

Pierluigi Gerbino www.borsaprof.it