In un mondo finanziario in cui l’unica cosa certa è l’incertezza, l’unico mercato azionario che riesce a salire con regolarità, macinando piccoli incrementi tutti i giorni è quello americano.
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Sorrette dalle rassicurazioni di nonna Yellen, restia a toccare i tassi nel breve periodo, in attesa di lumi dai dati economici futuri (ecco: l’incertezza ha contagiato anche chi dovrebbe saperla più lunga di tutti gli altri), le mani fiduciose della speculazione continuano lentamente ma costantemente a raccogliere titoli e consentono all’indice SP500 di superare anche la resistenza di 2.115 e di mantenersi al di sopra fino a fine seduta, come non succedeva dal mese di luglio 2015, quando realizzò il suo massimo di sempre a 2.135. La strada verso l’attacco anche a questo record storico è ormai sgombra di ostacoli ed il tratto da percorrere è di soli 16 punti, cioè un’inezia che, con un po’ di entusiasmo, potrebbe persino essere coperta oggi stesso.
Ha contribuito all’avanzata americana, oltre la fiducia nei tassi fermi, anche l’incredibile continuazione del rally del petrolio, che ha bruciato anche la resistenza costituita dai massimi dell’ottobre scorso e superato abbondantemente la quota dei 51 dollari al barile, grazie al calo delle scorte in USA, che ha dato un’ulteriore sferzata all’entusiasmo rialzista che dura da febbraio ed ha ormai praticamente raddoppiato il prezzo dell’oro nero rispetto ai minimi dell’11 febbraio scorso.
Ma un po’ tutte le materie prime, in primis quelle agricole, stanno disegnando rally di tutto rispetto, che si sta estendendo anche ai metalli preziosi, ieri oggetto di una nuova ondata di interesse speculativo, che ha posto fine alla fase correttiva di maggio.
Quel che si vede lascia un po’ perplessi, poiché non rispecchia le normali correlazioni esistenti tra economia, azionario e commodity.
Entrambi questi mercati dovrebbero salire in presenza di una crescita robusta dell’economia e temere la stagnazione. Invece in queste ultime settimane vediamo susseguirsi analisi e previsioni piuttosto negative da parte di tutte le agenzie di studio (FMI, OCSE, Banca Mondiale, Uffici studi delle banche centrali, istituti di ricerca privati). Non ce n’è una che abbia alzato le previsioni sulla crescita mondiale e americana per l’anno corrente. Tutte, invariabilmente, chi più, chi meno, stanno rivedendo al ribasso le stime. E, ciononostante, azioni e materie prime salgono.
Per l’azionario sappiamo che la salita delle quotazioni in un contesto economico stagnante è spiegata dai tassi a zero e dalla convinzione che la politica monetaria accomodante durerà. Ma per le materie prime l’accumulo che si sta verificando in queste settimane è molto ambiguo. Gli investitori fanno incetta di commodity perché anticipano un rafforzamento della crescita economica mondiale? Se così fosse avremmo ancora una volta una divergenza tra le analisi degli istituti di ricerca ed il comportamento dei mercati, che ci dovrebbe far riflettere sull’utilità di stipendiare eserciti di economisti per avere previsioni sballate. Ma se così fosse, allora le banche centrali non avrebbero più alcun motivo per tenere il piede sull’acceleratore monetario e dovrebbero spostarlo sul freno. E ciò rifilerebbe un sonoro ceffone alle pretese rialziste dell’azionario.
Insomma. Quel che succede non è molto chiaro e consono alle regole del gioco.
Potremmo in alternativa ipotizzare che il risveglio delle materie prime sia l’ultima parte del lungo gioco speculativo che si è svolto in questi anni e che ha dapprima portato alle stelle i prezzi dei bond, grazie ai tassi azzerati, poi ha spinto al rialzo l’azionario sulle ipotesi di una crescita moscia spinta invano dalle banche centrali. Esaurito quel che si può ottenere da obbligazioni ed azioni, ormai a quotazioni da collezionista sfegatato, ora toccherebbe alle materie prime essere portate in alto, per gonfiare anche su di loro la bolla speculativa. Mentre, nel frattempo le mani forti attuano la distribuzione su obbligazionario ed azionario.
E’ uno schema spesso usato a fine ciclo, secondo il quale le materie prime fanno inizialmente da copertura ai primi cali di obbligazioni ed azioni e diventano un porto dove destinare la liquidità proveniente dalle vendite di bond ed azioni.
Se così fosse non dovrebbe mancare più molto alla resa dei conti sulle borse più tradizionali.
Del resto in questi giorni stiamo vedendo divergenze di comportamento significative sull’azionario delle varie aree geografiche. Se facciamo eccezione per le borse USA e quelle più legate al prezzo del petrolio (Brasile e Russia), le altre non seguono al rialzo l’America. Ieri con SP500 che superava la resistenza, gli indici europei chiudevano la seduta con perdite medie di quasi l’1%. Oggi in Asia non si è festeggiato il rally americano, ma si è avuto un generale ripiegamento a causa di brutti dati macroeconomici provenienti dal Giappone (ordini di macchinari in calo ad aprile a doppia cifra) e dalla Cina (prezzi al consumo in sensibile calo a maggio, e conferma che il rallentamento prosegue).
Se in america si compra ad occhi chiusi, c’è molto meno entusiasmo in giro per il mondo.
Riusciranno gli indici USA anche oggi a rispondere con un’alzata di spalle ai timori corcostanti per continuare imperterriti il rally verso i massimi assoluti?
E, soprattutto, riusciranno a contagiare positivamente anche Europa ed Asia?
Pierluigi Gerbino www.borsaprof.it