Le borse azionarie ieri hanno continuato a risalire, pur senza grandi entusiasmi, in attesa che la settimana ci consegni gli eventi clou. Il primo si è svolto nel pieno di questa notte, ed è l’ultimo faccia a faccia televisivo tra Clinton e Trump, prima della volata finale verso il voto del 8 novembre prossimo. La cronaca ed i sondaggi effettuati subito dopo il duello ci parlano della terza vittoria da parte della Clinton, che si è mostrata ancora una volta più sicura e presidenziale di un Trump scomposto ed irritabile, che ha addirittura affermato di poter anche non accettare l’esito del voto e denunciato brogli su vasta scala che vede solo lui. Sono segni di nervosismo che rivelano meglio di ogni sondaggio il forte affanno della sua corsa, che lo vede sempre più perdente. Direi che salvo sorprese clamorose l’incertezza sul voto americano può essere accantonata. Se il pericolo di avere un pazzo al comando dell’America sembra fugato, non penso affatto che ci sia molto da stare allegri per una vittoria della Clinton. Però, se stiamo al ristretto ambito finanziario, è un fatto che Wall Street preferisca di gran lunga Hillary a Trump, e l’ultima parte della campagna non dovrebbe perciò portare turbolenze sui mercati.
Oggi avremo un altro importante meeting da decifrare. Quello mensile della BCE, in cui Draghi dovrà rintuzzare l’attacco dei falchi tedeschi, che non vogliono una proroga alla fine stabilita del Quantitative Easing, prevista al momento per il mese di marzo 2017, cioè tra 5 mesi, ma piuttosto discutere di tapering, cioè della modalità di riduzione graduale del volume di acquisti a partire da aprile. Lui e le colombe, che sono ancora la maggioranza, preferirebbero invece una proroga della data finale, per continuare il pompaggio monetario al ritmo attuale magari di un altro semestre, fino a settembre. A rafforzare la voce dei falchi sono però arrivate nelle ultime settimane due difficoltà. La prima è il sempre minor numero di titoli acquistabili, specialmente sul mercato tedesco, che imporrebbe di cambiare le modalità di acquisto previste ora, che sono proporzionali al peso di ciascuno stato nel capitale della BCE. Draghi vorrebbe togliere questo vincolo per poter comprare più debito sui mercati che ne emettono in abbondanza (ovviamente il nostro Tesoro è in pole position) e meno dove le emissioni sono scarse (Germania). Ma questa proposta lo esporrà all’accusa di voler favorire l’Italia e penalizzare la Germania, esacerbando il tono della discussione nel Direttorio BCE. Effettivamente per la Merkel, in modalità già pre-elettorale, questa scelta sarebbe certamente un boccone difficile da far ingoiare all’opinione pubblica tedesca, che è piuttosto unanime sul rifiuto di finanziare i debiti altrui con soldi comuni.
L’altra questione che rende difficile a Draghi convincere i falchi a protrarre le misure espansive è il balzo dell’inflazione che le ultime stime di settembre hanno evidenziato. L’aumento dei prezzi al consumo su base annua ha avuto un sussulto sia in Europa (da 0,2% di agosto a 0,4% di settembre; in Germania si è passati da 0,4% a 0,7%) che in USA (da 1,1% a 1,5%) ed in Gran Bretagna (da 0,6% a 1%). Non siamo certamente ancora arrivati al raggiungimento dell’obiettivo della BCE, cioè un aumento vicino al 2%, però è difficile motivare la proposta di proroga del QE con l’aumento dei rischi di deflazione.
La battaglia in seno alla BCE sarà dura e dovrebbe concludersi oggi con un pareggio. L’esito che ritengo più probabile è infatti un rinvio di ogni decisione alla prossima riunione dell’ 8 dicembre (a novembre non è prevista), quando si avrà maggior visibilità delle intenzioni delle altre Banche Centrali e soprattutto della FED. E, particolare non insignificante, si conoscerà anche l’esito del Referendum italiano, con annessa la sorte del Governo Renzi. Sarà comunque interessante la Conferenza Stampa di Draghi per cercare di capire dalle sue parole quale clima si respiri nel Direttorio BCE.
La riunione Bce monopolizzerà l’attenzione dei mercati. Ma un po’ di spazio potrebbe averlo anche il Petrolio, che ieri ha approfittato del dato sulle scorte settimanali americane in calo per riprendere forza e tornare a testare l’area dei 52 dollari, che non ha più frequentato dopo il luglio 2015.
Il rialzo del greggio ha riportato in alto gli energetici, che ieri si sono uniti ai bancari per sostenere i listini europei, aiutati anche dalla debolezza dell’euro, che sul cambio EUR/USD non riesce a rimbalzare e si avvicina all’area di forte supporto compresa tra 1,095 e 1,091.
Pierluigi Gerbino www.borsaprof.it