giovedì, Novembre 21

Il meno peggio delle trimestrali spinge ancora i listini

Raramente abbiamo visto una divergenza così ampia tra l’andamento dei mercati e la situazione politica circostante. L’Europa è alle prese con stragi quasi quotidiane, alcune causate da terroristi islamici, altre, come quella di Monaco venerdì scorso, da singoli squilibrati, che creano nella gente una sensazione di paura collettiva che solitamente è il terreno di coltura di tutti gli autoritarismi.

La Turchia, dopo il Golpe fasullo, durato sei ore, sta subendo ora il vero Colpo Stato da parte di Erdogan, che ha eliminato ormai quasi ogni parvenza di diritti civili e stravolto la costituzione democratica, trasformando la Turchia in uno stato di polizia al servizio del sultano e del suo partito religioso.

In USA è andato in scena lo show del miliardario grossolano e populista, che ha aperto la sua personale caccia della Casa Bianca per poter dare poi la caccia agli immigrati ed ai neri. Oggi si aprirà lo spettacolo dell’altra parte politica, che presenterà la sua rappresentante, che puzza di establishment e di lobby lontano un miglio. Gli americani si avviano a scegliere il meno peggio tra i due candidati, in una campagna elettorale che si avvia ad essere molto violenta e probabilmente anche sanguinosa, dato che l’odio razziale è riesploso con veemenza e mai si erano visti toni così estremisti da parte di candidati ufficiali, tesi a sobillare gli spiriti animali di un popolo che possiede, e spesso usa, parecchi milioni di armi da fuoco.

In questo quadro, che dovrebbe quanto meno consigliare un po’ di cautela, le borse salgono. Quella americana addirittura vola per la quarta settimana consecutiva ed ha migliorato anche mercoledì scorso, con l’indice SP500, il suo record storico per l’ennesima volta, portandolo a quota 2.175,6.

I motivi di tanta baldanza, che ignora la gravità della situazione politica interna ed esterna, li individuerei in due fattori. Innanzitutto i mercati hanno la speranza che la FED, che riunirà il FOMC martedì 27 e mercoledì comunicherà le sue decisioni, per paura di effetti negativi della Brexit sull’economia mondiale, prenda la decisione di rinviare almeno per qualche mese ancora il rialzo dei tassi, contribuendo, come le altre banche centrali nel mondo, a procrastinare lo status di anestesia dei rendimenti, che di fatto obbliga gli investitori a mantenere le posizioni sull’azionario e ad incrementarle con i flussi di risparmio aggiuntivo, per la semplice mancanza di alternative.

Il secondo fatto, abbastanza sorprendente, è l’inizio a spron battuto della stagione delle trimestrali.

Finora circa un quarto delle società presenti nell’indice SP500 ha presentato i conti del 2° trimestre. Sebbene il campione non sia enorme, è tuttavia sufficiente ad individuare una tendenza. Ebbene, mentre gli analisti si attendevano un calo degli utili rispetto al medesimo periodo dello scorso anno nell’ordine di -5,5%, il dato aggregato ha presentato finora un calo inferiore (-3,7%). Simile il comportamento delle vendite, che finora presenta per il campione un calo di -0,3%, contro il -0,8% atteso dagli analisti. Che le cose vadano meno peggio del previsto è confermato anche dal fatto che il 68% delle società, che hanno presentato i rendiconti, hanno battuto le stime di utile degli analisti (il 58% ha battuto le stime sulle vendite). L’indice che misura la sorpresa positiva, cioè la media delle differenze tra gli utili reali e quelli attesi è superiore sia alla media annuale che a quella quinquennale.

L’inevitabile conseguenza di questa lieta sorpresa, per mercati già euforici e spinti alla speculazione da mancanza di alternative, è stata quella di premiare più del solito chi ha battuto le attese e punire meno del solito chi ha fatto peggio delle attese.

Occorre ora verificare se la sorpresa positiva sugli utili riuscirà ad essere confermata dalle successive trimestrali, che questa settimana sono molto numerose e riguardano alcuni grossi big (Apple martedì, Coca Cola e Facebook mercoledì, Alphabet, Amazon e Ford giovedì, Exxon Mobil venerdì).

Se così fosse avremmo un altro clamoroso flop degli analisti, che ultimamente faticano sempre più a interpretare il futuro, ed una possibile estensione del rialzo, magari fino a quel livello psicologico (2.200) che per molti rappresenta l’obiettivo massimo dell’indice SP500 per quest’anno.

In Europa c’è molto meno entusiasmo, anche se la crescita dei mercati azionari è proseguita la scorsa settimana. L’indice Eurostoxx50, che ha chiuso la settimana a 2.972, mostra però una certa difficoltà a proseguire al rialzo e recuperare per intero il gap che lo separa ancora dai valori acquisiti prima del referendum Brexit (3.038). La situazione è simile per l’indice tedesco Dax, che non è ancora riuscito a recuperare quota 10.270 che occupava prima della Brexit.

Il nostro Ftse-Mib è invischiato in una stretta congestione laterale di circa 400 punti (tra 16.500 e 16.900 punti) ed oscilla senza direzione in balia dei rumor che provengono sul settore bancario. Qui lo stallo negozialetra il Governo Renzi e la Commissione UE è ormai certo che si protrarrà fino agli

stress test che saranno pubblicati venerdì prossimo ed obbligheranno ad agire, specie se altri istituti italiani, oltre a MPS ormai scontato, venissero bocciati.

Il problema, per il nostro mercato è che se non si riesce a mettere fieno in cascina quando il contesto è buono, come in questo periodo, c’è di che essere preoccupati se il traino USA venisse a mancare e una fase correttiva venisse giocata in Europa col medesimo stile delle ultime volte, cioè vendendo le banche.

Pierluigi Gerbino www.borsaprof.it